00 21/05/2008 11:06

MONDO A SPICCHI.







Arriva il basket d’estate quello del mercato quello delle illusioni.



di MEC.




Siamo alle ultime di stagione, poi andremo in va­canza attiva, considerato come il mercato terrà ban­co tutta l’estate e oltre il 21 settembre, in autunno quindi. L’aria che tira non è quella dei giorni miglio­ri, almeno a certe latitudini, anche se le speranze sono sempre le ultime a morire. Il mercato sta av­viando quindi la trasformazione delle squadre in funzione della prossima stagione. Del Lugano par­leremo a bocce ferme, restando fedeli al cliché che le squadre vanno lasciate cuocere nel loro brodo per non dare alibi a chiunque. Tutti sanno, qualche col­lega l’ha persino scritto (il che non fa una grinza con il compito di un giornalista), ma restiamo fedeli al ruolo che è quello certamente di informare ma con lo sfizio di chi è stato prima giocatore (con un merca­to ai minimi termini, diciamolo) e poi allenatore. Molto spesso, nel ruolo di coach, ho avuto modo di sentire le muse e le sirene nelle orecchie, sprovvedute e non, di giovani virgulti (e non) che chiedevano consigli sulle loro possibili destinazioni. Il nostro mondo è tanto piccolo, e lo era anche quando le squadre erano almeno tre o quattro, fra A e B, e il “rubarsi” tizio piuttosto che caio era l’esercizio più frequente nei bar e al lido. A bordo vasca si sentiva­no mille nomi che anche la “rosea” riusciva ad averne invidia (si fa per dire). Poi, a poco a poco, si capiva che le azioni erano di disturbo, che si cercava più che altro di fare dispetti piuttosto che avere inte­ressi per l’uno o per l’altro giocatore. Sì, perché c’e­rano le “bandiere”, gli “intoccabili” e poi i panchi­nari. Questi ultimi a volte cambiavano casacca, perché non sempre per certe squadre era facile esse­re in 12 avere disciplinati giocatori, ancorché un po’ scarsi tecnicamente ma di sicuro affidamento, era altrettanto importante che averne certi altri, maga­ri un po’ spocchiosi nell’adeguarsi a qualche minu­to di panchina.
Quanti giocatori bravi si sono persi negli anni a causa di qualche incomprensione con i coach o per qualche minuto in panchina non accettato e poi vo­lutamente ingigantito vuoi dall’amica, vuoi dal “sa­piente”, vuoi dal giornalista compiacente? Molti, lo posso assicurare. Le squadre estive sono un prodotto utile a tenere viva l’attenzione e a fomentare rivinci­te oppure a creare dei sogni. Oggi l’arrivo di uno straniero non fa più effetto e il motivo è semplice. I giocatori che oggi arrivano da oltre Oceano a gioca­re in Elvezia, per bravi che siano, sono uguali ad al­meno altri 10'000 che evolvono negli Usa dei quali non si conosce assolutamente nulla (forse solo Rena­to Carettoni ci può di dire qualcosa dei primi 200 che vanno per la maggiore dai 20 ai 23 anni). Un po’ come i 50 mila brasiliani del calcio che girano per tutte le nazioni d’Europa e d’altri continenti: e ci si può chiedere cosa ci faccia un carioca in Siberia così come una di Los Angeles a Troistorrents. È la voglia di nuove esperienze, magari di qualche franco, cono­scere nuove realtà e vivere emozioni diverse. Pensa­re di campare con i soldi guadagnati da noi? Nean­che a parlarne. Un tempo si aspettavano i Manuel Raga (el mejor de todos) via Varese come Charlie Yelverton e Rick Rinaldi, John “Cochise” Fultz, o Wingo da Cantù, Tom Scheffler dalla NBA, Brady e Dumbar e Sam Smith e altri ancora. Quelli erano califfi: chiama­vano in palestra centinaia di persone ai primi alle­namenti: tecnica, potenza, carisma, storie di succes­si e anche un pacco di soldi per averli. 30'000 dollari allora come oggi, stessa cifra, ma 30 anni fa, il dol­laro valeva franchi 3.36, non 1 franchetto come oggi. L’estate che arriva sarà ricca di nomi nuovi, c’è da crederlo, perché molti sono annunciati con le valigie. Alcuni per brevi spostamenti, altri per quelli un po’ più lunghetti, altri ancora decisamente destinati a lidi lontani, sperando di non più rivederli sul cam­po. Ma le sorprese non mancheranno e allora aspet­tiamo che i nostri dirigenti facciano i dovuti passi, possibilmente con gli allenatori, per tornare a dare sogni, speranze ed emozioni. Che è poi tutto quanto il tifoso vuole, al di là dei nomi e del pedigree.

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